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Governo incassa fiducia sul processo lungo, l'ultima "porcata" made in italy ( http://www.wallstreetitalia.com/ - 29/07/2011)
di Gian Carlo Caselli – 14 Aprile 2011- Il Fatto Quotidiano
Ecco come la riforma sfascia la giustizia e mette al guinzaglio la magistratura
Processo breve, prescrizione breve. Belle parole, formule magiche. Però attenzione, il processo si può dire davvero breve, abbreviato, se l’attuale durata interminabile, vergognosa, fosse effettivamente ridotta. Altrimenti è una beffa!
Oggi il processo penale finisce con una sentenza di merito, che dichiara l’imputato colpevole o innocente. Se passa la riforma invece di questa sentenza avremo molto spesso una burocratica dichiarazione di morte. Perché qual è la novità? La novità consiste nella fissazione di termini nuovi, scelti un po’ a caso, entro i quali il processo se non si conclude, muore, e muore per sempre. Alla faccia della sofferenza delle vittime che non viene tenuta in nessunissimo conto, alla faccia della fatica quotidiana delle forze dell’ordine per assicurare alla giustifizia fior di delinquenti, alla faccia della sicurezza dei cittadini.
Siamo davanti a malfattori di ogni tipo, delinquenti di strada, colletti bianchi, passando da tutte le gambe intermedie di criminalità, un vero esercito arrogante, spinto ulteriormente verso scelte di illegalità. Perché? Perché riceve in regalo, gratis dalla nuova legge un’impunità tombale!
Come stanno in realtà le cose? Se non si fa niente per far funzionare meglio la giustizia, per avere una giustizia più rapida, più efficiente, è comodo dire che il processo deve finire più in fretta così da diventare breve. solo che non è soltanto comodo, sono anche parole in libertà, distribuite un tanto al chilo per imbonire la povera gente con formule magiche.
Processo breve appunto. Chi non è d’accordo con il processo breve? Un cretino, solo che non basta a dirlo, bisogna anche provare a farlo. La realtà invece parla di uno sfascio della giustizia. Fissare termini non di abbreviazione, ma termini castranti, sapendo che non si possono rispettare questi termini, è come menare il can per l’aia e non è una cosa seria.
Una cosa seria sarebbe mettere mano a riforme degne di questo nome e ce ne sono tante che si potrebbero fare. alcune importanti a costo zero. Faccio un solo esempio: ridurre i gradi di giudizio. Noi abbiamo un sistema processuale penale di tipo accusatorio, in tutti i paesi che hanno questo stesso sistema i gradi di giudizio sono di regola due soltanto, primo grado e ricorso alla Corte Suprema. Da noi no, abbiamo molti gradi di giudizio, bisognerebbe sfoltire il tutto, per esempio abolendo l’appello.
Soltanto il giudizio di primo grado e il ricorso in Cassazione in modo da recuperare una quantità massiccia di magistrati, personale ausiliario, da riversare sul primo grado, potenziandolo e accelerando in maniera davvero consistente i tempi. Allora sì che avremmo un processo breve e potremo farla finita con i trucchi verbali che oggi la fanno da padroni nel dibattito sulla nuova legge.
Ma non dimentichiamo che i fautori del processo breve hanno in cantiere un’altra sorpresa, che si chiama processo lungo. Non sto scherzando. In cosa consiste questo processo "lungo"? Consiste nel fatto che oggi le liste dei testi presentate dall’accusa o dalla difesa devono essere ridotte dal giudice a seconda che contengano o non contengano nomi, personaggi che è inutile sentire perché non servirebbero all’accertamento della verità.
Se passa questa riforma ecco che il processo diventa lungo. Perché? Le liste testi devono accettate integralmente, in toto dal Giudice senza nessuna possibilità di dire: questo non lo sentiamo perché è inutile, questo non lo sentiamo perché sentirlo non serve all’accertamento della verità, facciamo un esempio limite, paradossale ma tanto per capirci.
Rissa allo stadio di calcio, io rappresentante della pubblica accusa o difensore dell’imputato, chiedo di sentire tutti gli spettatori presenti alla partita, 10 mila persone. Lo posso fare oggi perché la tessera del tifoso consente di identificare uno per uno gli spettatori e il giudice se li deve sentire, se io chiedo tutti e 10 mila, allora il processo non finisce mai!
Da una parte il processo breve, dall’altra il processo lungo, cos’è schizofrenia? No, niente di schizofrenico per l’amor del cielo, un disegno molto preciso, l’obiettivo è sempre lo stesso: liberare il nostro Premier dai processi che lo ossessionano.
Principalmente due: il caso Mills e il caso Ruby rubacuori. O cancellando questi processi (il processo breve) o trascinandoli all’infinito (processo lungo) si tratta ancora una volta di legge ad personam, ma chi se ne importa!
L’importante è che la gente si beva la favola delle riforme. Non è finita, perché poi c’è la prescrizione breve, più che una legge ad personam una fotografia di una certa persona che poi è il nostro Premier: incensurati, di una certa età hanno diritto a una riduzione di pena. E’ pensata su misura, ancora una volta.
Non si fa niente, assolutamente niente, per migliorare il funzionamento della giustizia. Ci sarà un’infinità di colpevoli o che potrebbero essere dichiarati tali che la fanno franca.
Facciamo l’elenco delle persone che la faranno franca, è un elenco che fa davvero un po’ paura perché comprende scippatori, borseggiatori, topi d’alloggio, ladri assortiti, truffatori, sfruttatori di donne, spacciatori di droga, corruttori, usurai, bancarottieri, estortori, ricattatori, appaltatori, disonesti, pedofili, violenti di onirismo, operatori economici che non si fanno carico delle regole che vietano le frodi in commercio o delle regole che tutelano la salute dei consumatori, imprenditori che si mettono sotto i piedi le norme sulla sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro.
E’ un catalogo di gentiluomini che la faranno franca, più di quanto già ora purtroppo non avvenga, e che si ritroveranno impuniti come se avessero vinto al Totocalcio senza neanche giocare la schedina. Non è riforma della giustizia. Parlare di riforma della giustizia o di processo breve è giocare con le parole, se volessimo sintetizzare tutto con qualche aggettivo, direi che i cittadini sono contenti e gabbati.
Gabbati perché ci tirano fuori dal cilindro conigli che poi vengono presentati con queste formule magiche "riforma epocale della giustizia" processo breve, mentre abbiamo visto che la realtà è tutt’altra. Per la riforma cosiddetta epocale della giustizia l’obiettivo vero è: mettere la magistratura al guinzaglio della maggioranza politica del momento e ovviamente non mi interessa se è bianca, rossa o nera se è questa di oggi o quella che potrà essere domani o dopodomani o dopodomani ancora, mi interessa che in un paese costituzionalmente ordinato, democraticamente ordinato, la nostra Costituzione vigente, la Magistratura deve essere autonoma e indipendente, non al guinzaglio, non alle dipendenze, non agli ordini della maggioranza politica contingente.
Non esiste in nessun paese al mondo, se esiste è male, da noi non esiste, per favore non facciamo gli errori che gli altri magari commettono.
Cittadini gabbati e contenti e tutto questo perché? Perché il feudo di Arcore possa continuare a svettare su una palude che è la palude nella quale annaspano i comuni cittadini che vorrebbero più giustizia com’è loro sacrosanto diritto.
Quali sono i processi più noti che con questa riforma rischiano di rimanere senza colpevoli?
Rispondo volentieri a questa domanda, nel senso che secondo me non è una domanda giusta. Non è questo o quel processo famoso che magari fa scandalo. E’ la quantità di processi che riguardano interessi diffusi dei cittadini che vengono travolti. Quindi è la massa, è l’impatto complessivo più che questo o quel caso. Capisco che questo o quel caso fa notizia, ma a ci interessa di più la foresta complessiva, non questo o quell’albero specifico.
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" Voi non lavorate, siete dei cretini " Brunetta show... senza parole!
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Signor Presidente della Repubblica, Lei che rappresenta più di ogni altra Istituzione tutti noi, questi "signori" si fanno le ciambelle in casa con la farina degli altri! Se mi è permesso suggerirLe, non perda tempo nello scrivere, tanto questi non sanno leggere... !!! Piuttosto li prenda a calci nel sedere. LA LETTERA DEL QUIRINALE:
ROMA - Questo il testo integrale, diffuso dal Quirinale, della lettera che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio:
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«Mi risulta che il Ministro delle riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa, con decreti in data 7 giugno 2011 - peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - hanno provveduto a istituire proprie "sedi distaccate di rappresentanza operativa"; ho appreso altresì che analoghe iniziative verrebbero assunte a breve anche dal Ministro del turismo e dal Ministro dell'economia e delle finanze (quest'ultimo titolare di un importante Dicastero, anzichè Ministro senza portafoglio come gli altri tre).
Come ho già avuto occasione di sottolineare al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dott. Letta, la dislocazione di sedi ministeriali in ambiti del territorio diversi dalla città di Roma deve tener conto delle disposizioni contenute nel regio decreto n. 33 del 1871, ancora pienamente vigente, che nell'istituire, all'articolo 1, Roma quale capitale d'Italia ha altresì previsto che in essa abbiano sede il Governo ed i Ministeri. È altresì noto che la scelta di Roma capitale è stata costituzionalizzata con la riforma del titolo V della nostra Carta che, con la nuova formulazione dell'articolo 114, terzo comma, ha da una parte introdotto un bilanciamento con le più ampie funzioni attribuite agli enti territoriali e dall'altra ha posto un vincolo che coinvolge tutti gli organi costituzionali, compresi ovviamente il Governo e la Presidenza del Consiglio: vincolo ribadito dalla legge n. 42 del 2009, che all'art. 24 prevede un primo ordinamento transitorio per Roma capitale diretto 'a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli Organi Costituzionalì. Infine, recentemente e sia pure in un contesto non univoco, nel corso dell'esame parlamentare del d.l. n. 70 del 2011, sono stati discussi e votati diversi ordini del giorno finalizzati ad escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio. Quanto al contenuto dei citati decreti istitutivi devo rilevare che i Ministri emananti, Ministri senza portafoglio, hanno provveduto autonomamente ad istituire sedi distaccate, rispettivamente, di un Dipartimento e di una Struttura di missione, che costituiscono parte dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio».
«Poichè ai fini di una eventuale sua elasticità, il decreto legislativo n. 303 del 1999, all'articolo 7, attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di adottare con DPCM le misure per il miglior esercizio delle sue funzioni istituzionali, ritengo che l'autorizzazione ad una eventuale diversa allocazione di sedi o strutture operative, e non già di semplice rappresentanza, dovrebbe più correttamente trovare collocazione normativa in un atto avente tale rango, da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti per i non irrilevanti profili finanziari, come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 2002. Peraltro l'apertura di sedi di mera rappresentanza costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale.
Tutt'altra fattispecie, prevista dalla stessa Costituzione e da numerose leggi attuative, è quella della esistenza, storicamente consolidata, di uffici periferici (come ad esempio i Provveditorati agli studi e le Sovraintendenze ai beni culturali e ambientali), che non può quindi confondersi in alcun modo con lo spostamento di sede dei Ministeri; spostamento non legittimato nè dalla Costituzione che individua in Roma la capitale della Repubblica, nè dalle leggi ordinarie, quale ad esempio l'articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, che consente di intervenire con regolamento ministeriale solo sull'individuazione degli uffici centrali e periferici e non sullo spostamento di sede dei Ministeri. Inoltre, il rapporto tra tali uffici periferici e gli enti locali va assicurato sull'intero territorio nazionale nell'ambito dei già delineati uffici territoriali di Governo. Va peraltro rilevato che a fronte della scelta, non avente connotati di particolare rilievo istituzionale, di aprire meri uffici di rappresentanza, non giova alla chiarezza una recente nota della Presidenza del Consiglio, che inquadra tale iniziativa nell'ambito di »intese già raggiunte sugli uffici decentrati e di rappresentanza di alcuni ministeri sia al Nord che al Sud, come già in essere per molti altri ministeri«, così preludendo ad ulteriori dispersioni degli assetti organizzativi dei Ministeri tanto da consentire la prefigurazione, da parte di esponenti dello stesso Governo, di casuali localizzazioni in vari siti regionali o municipali delle amministrazioni centrali. È necessario ribadire che tale evoluzione confliggerebbe con l'articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma Capitale della Repubblica, nonchè con quanto dispongono le leggi ordinarie attuative già precedentemente citate.
La pur condivisibile intenzione di avvicinare l'amministrazione pubblica ai cittadini, pertanto, non può spingersi al punto di immaginare una »capitale diffusa« o » reticolare« disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di Capitale della città di Roma, sede del Governo della Repubblica». Conclude il Capo dello Stato: «Ho ritenuto doveroso, onorevole Presidente, prospettarle queste riflessioni di carattere istituzionale al fine di evitare equivoci e atti specifici che chiamano in causa la mia responsabilità quale rappresentante dell'unità nazionale e garante di principi e precetti sanciti dalla Costituzione». (DAL SITO DEL QUIRINALE)
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Articolo di Oscar Giannino ( www.chicago-blog.it)
" D’accordo, a ogni manovra c’è chi esagera. Repubblica ma anche il Corriere, due settimane fa hanno impazzato. Per cinque giorni il quotidiano diretto da Ezio Mauro, per due quello da Ferruccio de Bortoli, hanno sparato pagine intere sui tagli da duemila a tremila euro a famiglia che deriverebbero dalla manovra. Dimenticando di dire che il più delle cifre veniva da simulazioni sulla riduzione lineare di deduzioni e detrazioni fiscali per 20 miliardi che il governo ha posto nel decreto legge a copertura dei saldi, invece che nella delega per finanziare la riforma fiscale com’era previsto nella versione originale. Dimenticando cioè di chiarire che quei tagli sono stati previsti solo per dare garanzia immediata ai mercati che comunque l’azzeramento del deficit si farà, non che l’intenzione di Tremonti e Berlusconi sia di farli davvero, perché al contrario il ministro dell’Economia ha sempre spiegato e ripetuto che è sula spesa che occorrerà incidere ancor più profondamente, che le deduzioni e detrazioni vanno ridotte scegliendo fior da fiore per levare a chi non ne ha bisogno, non per aggravare linearmente il carico fiscale alle famiglie povere e numerose. Ma ammettiamolo.I media e l’opposizione hanno fato bene a spara, è il governo che si è pazzescamene contraddetto. Sarebbe stato non una ma cento volte meglio immolarsi sull’altare di tagli maggiori da subito e indirizzati su comparti strutturali, alzando l’età pensionabile a 70 anni in 5 anni e privatizzando patrimonio immobiliare pubblico, invece di evocare la minaccia di più tasse per 20 miliardi a famiglie e imprese. Non solo si regala un’arma facile all’opposizione. Che potrà dire: se ci votate, niente tagli lineari a chi già se la passa male ma una bella patrimoniale sui famigerati ricchi. Soprattutto, l’operazione è sbagliata perché esiste davvero, un grande rischio di impoverimento del ceto medio italiano. E lo sappiamo perché lo dicono i dati.
Preferisco non utilizzare i numeri “allarmati”, per esempio quelli elaborati dalla Caritas o dalla Cgi, due parrocchie contrapposte che fanno il loro mestiere. Fermiamoci ai dati Istat. Secondo i quali nel 2010 in Italia c’erano 8milioni 272mila individui in condizioni di povertà relativa pari all’11% delle famiglie italiane, e in condizioni di povertà assoluta 3 milioni 129mila persone pari a 1milione e centomila famiglie cioè il 4.6% del totale nazionale. E’ meglio capirsi su come si elaborano questi dati, che gli “allarmati” contestano come sempre capita in Italia, dove ciascuno produce dati a capocchia. L’Istat aggiorna da anni con criteri scientifici al potere d’acquisto e alle medie di spese personali e familiari questi due dati, che sono dunque attendibili. Per la povertà relativa, si aggiorna ogni anno una media di spesa procapite per consumi atti a una vita dignitosa, e l’anno scorso era pari a 992 euro a persona per mese: una famiglia è in condizioni di povertà relativa se due persone possono contare su un reddito pari alla spesa media mensile di una sola, e il coefficiente varia a seconda della numerosità familiare. Per la povertà assoluta, si calcola invece una media di spesa minimale procapite al mese, sotto la quale c’è l’impossibilità di una vita di qualunque tipo se non da clochard mendicante. Nell’anno scorso quel minimo vitale era pari a 786 euro al mese per adulto ch vive da solo in una grande città del Nord, 686 in un piccolo Comune settentrionale, 516 in un piccolo Comune meridionale.
Innanzitutto: questi dati sono in peggioramento rapido? L’Istat – non io – dice di no, guardando complessivamente al Paese. La povertà relativa era all’11% delle famiglie italiane nel 207 pre-crisi, e lì è rimasta. La povertà assoluita era al 4,1% nel 2007, e dal 2008 entrando nlla crisi è salita al 4.6%, e lì è rimasta. Questo non significa però affatto che non ci siano linee emergenti che dovrebbero indurre la politica – di qualunque colore – ad aguzzare occhi e orecchie, per capire a che cosa bisogna fare fronte. Innanzitutto perché è cresciuta la fascia dei “quasi relativamente poveri”. Chi sono? Le famiglie comprese entro una fascia superiore del solo 20% a quella media di 992 euro di spesa ogni due componenti al mese. In questa fascia c’è un altro 7,8% delle famiglie italiane, cioè altri 2 milioni di famiglie pari a 6,8 milioni di persone. E se sommiamo questi “quasi relativamente poveri” a coloro che lo sono già, arriviamo a 20 milioni di persone su un totale di 65 milioni di residenti. E’ dunque su questi 20 milioni, che dobbiamo fare un ragionamento per capire che cosa sta avvenendo nel ceto medio impoverito.
Qual è, l’identikit di chi a paragone degli altri se la sta passando peggio, cioè fatica più degli altri nell’ultimo anno a difendere reddito e consumi sul precedente? Innanzitutto chi ha famiglie numerose, visto che in un anno quelle con 5 figli e più passano in condizioni di povertà relativa dal 25% al 30%. Idem per le famiglie con membri aggregati, tipo anziani a carico, che passano dal 18% al 23% nella povertà relativa. C’è poi un problema generale nel Mezzogiorno, che registra percentuali doppie e triple del Nord: basta avere 3 figli, perché al Sud nel 2010 rispetto al 2009 la povertà relativa sia salita dal 36% addirittura al 47%.
Quanto alle condizioni di lavoro emerge in tutta Italia, e come al solito al Sud come una vera pandemia, il peggioramento delle famiglie in cui chi lavora esercita una professione autonoma: dal 6,2% del 2009 al 7,8% del 2010, e nel Sud la povertà relativa degli autonomi passa in un anno dal 19% al 23,6%. Per i pensionati, nelle famiglie in cui c’è un solo reddito da quiescenza il peggioramento è drastico: la povertà relativa passa dal 13,6% al 17%, quella assoluta dal 3,7 % a un terribile 6,2%.
Conclusione. L’emergenza famiglia nel ceto medio esiste e peggiora. Stiamo colpendo duro gli autonomi, additati come evasori ma in realtà vittime più degli altri della crisi, ed esposti a maggiori rischi previdenziali. In più, per i pensionati a basso assegno si apre un baratro, e impoveriscono anche i loro figli a bassa qualifica, nelle famiglie allargate. Tradotto: le deduzioni e detrazioni per carichi familiari vanno alzate, non abbassate, e tagliati al loro posto i trasferimenti a fondo perduto alle imprese. Per gli autonomi, la linea voluta dalla sinistra, dell’innalzamento contributivo avvicinandoli al lavoro dipendente, si traduce in una strage. Quanto ai pensionati, una parte dei 60-70 miliardi che si risparmiano se andiamo tutti in pensione a 70 anni al 2016 e non al 2050 come oggi previsto si può e si deve devolvere all’integrazione degli assegni al minimo. E il Sud ha un disperato bisogno, in generale, di aree franche fiscali. Altrimenti, per il ceto medio tra le maggiori tasse locali e nazionali saranno botte da orbi. Figuriamoci con la patrimoniale."
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Il vostro amico
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