giovedì 12 gennaio 2012

Il peccato originale della disobbedienza(fiscale)


Cari lettori di Tra Verità e Menzogna, a seguire un interessante articolo di Oscar Giannino.
Come sempre ...restate " Ad occhi aperti!" .
Il vostro
Pinocchio & Giò
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Disobbedienza fiscale: i presupposti dimenticati, è ora di riscoprirli.

E’ tempo di riscoprire i presupposti della disobbedienmza fiscale. Pubblica e organizzata. Befera e l’Agenzia delle Entrate ed anche Equitalia non c’entrano. Chi manda bombe e proiettili, è il nostro nemico e deve smetterla al più presto. Perché ci sono cascati tutti o quasi. Per l’ennesima volta. Ed è anche per questo che nutro una considerazione sempre più elevata per Attilio Befera, il capo dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia, e per la sua squadra che da anni ha mutato assetto organizzativo, efficacia e risultati concreti della lotta all’evasione, in perenne crescita. Non è un camaleonte perché confermato da sinistra e destra, come ha titolato La Stampa, perché in un Paese iperammalato di spoil system se Visco e Tremonti gli hanno dato fiducia è solo per i risultati concreti. E non è vero che la lena delle Entrate si è attenuata quando non c’era Visco, come l’intemerato deus ex machina fiscale della sinistra ha tuonato in un’intervista dopo Cortina. Al contrario, Befera coglie nel segno non solo perché il recuperato fiscale è cresciuto sempre e raddoppiato in cinque anni superando gli 11 miliardi in 12 mesi. Va a segno anche perché si è fatto aumentare i poteri sia dalla destra che dal governo dei tecnici. E perché l’azione delle Entrate si svolge anche con un abile occhio agli echi mediatici delle sue iniziative. Dai vip dello sport alle star dello spettacolo ai vacanzieri di Cortina, l’incazzatura dei lavoratori dipendenti soggetti senza scampo al sostituto d’imposta è assicurata. Ma il problema non è Befera e non sono i suoi. Fanno tostamente il loro mestiere. Il viso dell’arme è ciò che lo Stato chiede loro. Servono lo Stato. Il problema è la politica, che dello Stato scrive le leggi fiscali. Anzi i decreti legge, le circolari e i regolamenti, in violazione dell’articolo 23 della Costituzione che prescrive la riserva di legge assoluta per i nuovi tributi. Il problema è la giustizia, che tanto in Cassazione quanto alla Corte costituzionale ha accumulato una terrificante giurisprudenza a senso unico, per la quale in materia fiscale lo Stato ha praticamente sempre ragione. Ha sempre ragione, anche quando asimmetricamente pretende per sé un rispetto assoluto dei tempi di versamento e del quantum gli si deve, mentre per pagare le fatture dovute ai privati o per il rimborso dei crediti fiscali impiega discrezionalmente anni. Ha sempre ragione, anche quando stabilisce e pretende che per la sola temeraria decisione del contribuente di accedere a contenzioso fiscale, questi debba versare allo Stato subito un terzo di ciò che lo Stato pretende e che i contribuente contesta, con in più oneri e aggi. Ha sempre ragione, anche se nel contenzioso il giudice tributario non è affatto terzo rispetto a contribuente ed Entrate, ma di fatto parte esterna e concomitante dell’amministrazione tributaria. Ha sempre ragione, anche quando con il governo Monti lo Stato dispone il pieno accesso delle Entrate non solo ai conti bancari con relativi saldi, ma a qualunque operazione bancaria da parte di chiunque. Col che in nome della lotta all’evasione e al riciclaggio passiamo da una foto statica del patrimonio e dei saldi bancari di noi tutti all’integrale film comportamentale di qualunque cosa facciamo per ogni singola unità di tempo. In maniera che un pm potrà anche solo da una successione di operazioni bancarie nel tempo incardinare fascicoli identificandoli come ipotesi di reato. E la Costituzione, dove la mettiamo?

Gli studi di settore, per anni divenuti strumenti induttivi dai quali far discendere unilateralmente da parte dello Stato cifre d’affari, basi imponibili e imposte dovute e pretese, prescindendo da ciò che capita davvero in concreto a ciascuna microimpresa artigiana o professionale interessata, non sono forse in violazione dell’articolo 53 della Costituzione sulla capacità contributiva individuale? E i conti correnti in toto girati allo Stato, non sono violazione dell’articolo 15 della Carta Fondamentale? Quell’articolo che testualmente afferma: “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”?

Il diritto naturale pre esiste a ogni statuizione dell’ordinamento positivo, per chi non è hegeliano sostenitore dello Stato etico, e non fa differenza se sia rosso o nero a seconda di quale filone dei discepoli di Fichte abbia fondato le rispettive ideologie politiche. Ma ogni più sacro fondamento del diritto di persone e individui viene da anni sempre più calpestato, in materia fiscale. Perché lo Stato assetato di risorse si dà ragione nel diritto e nella giurisprudenza. Persino l’abuso di diritto, secondo la Repubblica italiana e i suoi giudici, si configura solo a carico del contribuente contro lo Stato e mai viceversa. Nemmeno quando l’Agenzia delle Entrate non rimuove i pignoramenti su appartamenti per debiti fiscali contestati inferiori agli 8mila euro, come pure una sentenza di Cassazione avrebbe stabilito nel 2010.

Quando si muovono tali obiezioni una risposta corale viene immediatamente dal fronte statalista, che di fatto ha accomunato negli anni sinistra, destra e oggi governo dei tecnici, tutti uniti nella sacra parola d’ordine “lotta all’evasione”, tutti dimentichi e conniventi dello scandalo di una pressione fiscale in perenne crescita, salita di oltre 20 punti di Pil in una sola generazione, al continuo inseguimento di una spesa pubblica superiore a metà del prodotto nazionale, scandalosamente inefficiente e clientelare, al servizio degli interessi di chi protempore amministra lo Stato perennemente, impunemente e sfacciatamente spacciati per interesse generale. La risposta corale del fronte statalista è “vergogna, voi difendete quei criminali abietti che sono gli evasori”.

Le quattro mosche bianche residue liberali ne hanno le tasche piene, di questa accusa. Non serve aver letto e citare de la Boètie e John Locke, sant’Agostino e san Tommaso, Thomas Jefferson e l’abate Mably (che pure è fondatore del socialismo utopico, più che liberale), i fondamenti del diritto naturale in materia fiscale che hanno ispirato le grandi evoluzioni liberali della Storia, la testa tagliata di Carlo I e la Glorious Revolution del 1688, la rivolta delle Colonie americane e la nascita egli Stati Uniti. Ti aggrediscono come un nemico del popolo, dicono che vuoi sottrarre risorse ai servizi pubblici. Quando invece è vero il contrario. Loro mandano in tv spot tambureggianti in cui l’evasore è accusato di rubarmi in tasca, quando invece tutto ciò che lo Stato recupera se lo tiene per sé come spesa aggiuntiva, mica lo retrocede a chi le tasse le paga per premiarlo: ed è colpa suprema del centrodestra, non aver riconosciuto e introdotto tale principio.

E allora, penso io, è tempo che i liberali si organizzino. E che pensino alla disobbedienza fiscale. Quella pubblica e autodichiarata. Esposta a pene che spacchino e facciano discutere l’opinione pubblica per aprire gli occhi e risvegliare coscienze dormienti. Alla ricerca di magistrati che incardinino presso la Corte costituzionale giudizi incidentali che sollevino il problema dell’incostituzionalità di una delle tante aberrazioni fiscali che nel nostro Paese ci hanno reso servi di fatto, da cittadini di nome. Ce ne sarà almeno uno, su settemila magistrati, che la pensi così. E che segua la stessa strada per cui la Germania 10 anni fa è tornata a un sacro rispetto di un tetto, aggiornato anno per anno con pubblico voto parlamentare, di reddito personale e familiare intangibile a ogni pretesa dell’ordinamento. E’ bastato stabilire questo, perché spesa pubblica e imposte siano scesi in equilibrio di quasi 7 punti di Pil, liberando energie potenti per la crescita del Paese e del benessere di ciascuno.

Le basi di diritto, per la disobbedienza civile fiscale? Ci sono eccome. Prendete La giustizia costituzionale di Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte e teso sacro alla sinistra. A pagina 276 dell’edizione 1988 leggerete: a) la legge incostituzionale non è obbligatoria; b) tuttavia non è neppure obbligatoria la disobbedienza ad essa, tale disobbedienza essendo solo consentita o ammessa; c) la disobbedienza alla legge è invece giuridicamente doverosa nei casi i cui i singoli si rappresentino con piena consapevolezza l’indiscutibile incostituzionalità della legge.

(Fonte Oscar Giannino - http://www.chicago-blog.it)

martedì 10 gennaio 2012

Unicredit: impone a filiali giro di vite su credito


Unicredit: impone a filiali giro di vite su credito (fonte : Borsa Italiana)

MILANO (MF-DJ)--"Al momento, la nostra banca ha un eccesso di credito rispetto alla raccolta diretta. Lo squilibrio e' notevole e ci impone sia di limitare l'espansione in modo selettivo scegliendo le operazioni che ci interessano di piu' in termini di ritorni commerciali e reddituali sia di migliorare la qualita' del credito".

Inizia cosi' un documento, di cui MF Dowjones e' entrata in possesso, che e' stato distribuito qualche giorno fa alle filiali di Unicredit per fornire indicazioni generali in merito all'erogazione del credito.

Il faro di Piazza Cordusio e' puntato soprattutto sui nuovi clienti del gruppo che dovessero richiedere finanziamenti. "E' opportuno un periodo di sperimentazione, da valutare di volta in volta prima di impegnarci con operazioni a medio termine, a prescindere dalla presenza di un consorzio di garanzia", chiarisce infatti il documento.

Il giro di vite non risparmia neppure rapporti ormai consolidati con clienti di vecchia data. "Proposte di incremento fido o di nuovo affidamento dovrebbero essere valutate solo per clienti con rating da 1 a 5. L'atteggiamento dovrebbe essere di mantenimento su clienti con rating 6. Le proposte con rating superiore dovranno essere opportunamente valutate", spiega infatti la nota interna, "per valutare se e in che termini la situazione possa evolvere positivamente, considerando che i clienti dovrebbero essere messi a conoscenza che in caso contrario, prima o poi, si arrivera' all'opportunita' di concordare un rientro".

"La clientela che ci richiede fidi o prestiti viene giudicata in base a una scala di rating che va da 1 a 9, dove 1 equivale a rischio insolvenza pari a zero e dove 5 oggi rappresenta un'asticella da non superare", ha chiarito una fonte del gruppo, aggiungendo che "il rating viene fornito in modo automatico da un software a conclusione della pratica. Vengono presi in considerazione sia dati di bilancio sia dell'analisi andamentale, eventuali insoluti e andamento del settore merceologico di appartenenza".

Ad ogni modo, sia che si tratti di vecchi o di nuovi clienti, l'input che arriva in questo momento dalla direzione del gruppo e' che le operazioni di prestito e finanziamento che vengono inoltrate al Polo Crediti (la struttura cui spetta la valutazione di gran parte delle pratiche, mentre la decisione su un numero piu' limitato spetta ai direttori di filiale, ndr) dovrebbero essere "di gran lunga minori in numero di quanto rileviamo invece adesso".

Il documento entra poi nel merito delle operazioni che il gruppo milanese guidato da Federico Ghizzoni e' disposto a sostenere. "Non siamo disponibili a consolidare i debiti dei clienti se non nell'ambito di un piano di ristrutturazione che non preveda altre vie d'uscita. In ogni caso non ci sostituiamo al debito delle altre banche o al leasing, non sosteniamo il contenzioso dei clienti salvo che non si tratti di crediti che abbiamo anticipato noi e per i quali non siano state commesse irregolarita'".

"Non ci interessa finanziare il trading di qualunque natura esso sia, l'immobiliare speculativo, il campo finanziario", prosegue poi il documento, specificando che - nella lista delle societa' che per tipologia di business dovranno essere escluse dai finanziamenti - rientrano "le immobiliari, le holding, le societa' estere e quelle controllate da soggetti esteri per natura fiscale, le finanziarie di qualunque genere, le commerciali che non mostrino elementi strutturali tali da renderle affidabili e - con le dovute eccezioni - le concessionarie auto".



Tempi duri, infine, per chi opera nel settore ello sviluppo immobiliare o in quello del fotovoltaico. Per quanto riguarda il primo, il documento indica infatti che al credito potranno accedere solo "un cliente conosciuto.
Dovra' inoltre portare l'area gia' di proprieta', sul cui valore noi non interverremo.
Il nostro intervento sui costi di costruzione avverra' solo a conguaglio, dopo che il costruttore avra' investito la sua quota, con pagamenti accertati".
Non solo. "Le erogazioni oltre il 30% della nostra quota potranno avvenire solo a presentazione di un 20% di compromessi di vendita". Percentuale che sale al 50% se le erogazioni richieste sono superiori al 70%. Per chi opera invece nel fotovoltaico, addio a operazioni di carattere speculative, che negli ultimi anni - prima della stretta del Conto Energia, erano diventate frequenti anche tra gli operatori di family office.
"E' opportuno limitarci all'intervento a fronte di investimenti di importo limitato e solo per impianti a corredo dell'attivita' industriale del cliente", spiega infatti a chiare lettere il documento. Che esclude "investimenti di natura speculativa da parte di operatori non interessati al settore energetico".
ofb oscar.bodini@mfdowjones.it

domenica 8 gennaio 2012

Finanza contro governo; oligarchia contro democrazia.



Cari lettori di Tra Verità e Menzogna, a seguire un estratto dell'articolo di Michael Hudson.

Mi aspetto a partire da lunedì 9 gennaio l'emergere di una situazione ancor meno rassicurante sui mercati e per l'economia, prevedo inoltre che a breve il nostro immobiliare venga a subire forti ribassi. Dalla primavera inoltrata-inizio estate 2012 a tutto il 2013, gli immobili anche quelli di tipo residenziale si prevede abbiano a subire un calo anche di oltre il 15-20% , senza escludere un tracollo del 30% ,del loro attuale valore di mercato, soprattutto se alcuni eventi legati alla tenuta dell' euro dovessero presentarsi entro breve termine.
Attenzione anche a ciò che sta succedendo in Ungheria.

Come sempre Tra Verità e Menzogna ...restate "Ad occhi aperti!".

Il vostro
Pinocchio & Giò
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La democrazia comporta la subordinazione delle dinamiche del sistema finanziario al perseguimento dell’equilibrio e della crescita economica, e la tassazione dei profitti da rendita o il mantenimento dei monopoli dei servizi fondamentali nelle mani pubbliche.

Il non tassare o il privatizzare le rendite dei patrimoni le rende “libere” di venire impegnate nelle banche, per essere capitalizzate ancora più attraverso il prestito. Finanziata dalla speculazione sul debito, l’inflazione “asset-price” aumenta la ricchezza dei redditieri mentre indebita il sistema economico in generale. [L’inflazione “ asset-price” è un fenomeno economico che indica un aumento del valore degli asset, rispetto ai beni e servizi comuni. Asset tipici sono gli strumenti finanziari come titoli, azioni, e i loro derivati, beni patrimoniali e capitali.]

L’economia si contrae, precipitando a valore negativo.

Il settore finanziario ha conquistato un’influenza tale da utilizzare queste contingenze come un’opportunità per convincere i governi che l’economia collasserà se non “si salvano le banche”. In pratica questo significa consolidare il controllo delle banche sulla politica, e questo controllo viene esercitato in modo da polarizzare ulteriormente il sistema economico.

Il modello di riferimento è quanto è successo nell’antica Roma, nel passaggio dalla democrazia all’oligarchia. In realtà, dando priorità ai banchieri e lasciando che la pianificazione economica sia dettata dall’Unione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale si concreta la minaccia di privare lo Stato-nazione del potere di coniare o stampare moneta e di riscuotere le tasse.

Il conflitto che ne risulta sta contrapponendo gli interessi della finanza contro l’autodeterminazione dello Stato nazionale. L’idea di una Banca centrale indipendente come “marchio distintivo di democrazia” è un eufemismo della rinunzia delle decisioni politiche più importanti - la capacità di creare moneta e credito – in favore del settore finanziario.

Invece di affidare le scelte politiche a referendum popolari, oggi la principale causa dell’aumento del debito nazionale deriva dal salvataggio delle banche organizzato dall’Unione Europea e dalla BCE.

I debiti bancari privati, ​​addossati ai bilanci statali dell’ Irlanda e Grecia, sono stati trasformati in tassazioni imposte ai contribuenti. Lo stesso vale per il bilancio degli Stati Uniti a cui sono stati ascritti 13 trilioni di dollari dal settembre 2008 (compresi i 5,3 trilioni di mutui ipotecari tossici dei giganti statunitensi dei mutui ipotecari Fannie Mae e Freddie Mac ascritti al bilancio governativo, e i 2 trilioni di dollari di swap tossici della Federal Reserve).

Tutto ciò è stato dettato dai procuratori del mondo della finanza, definiti eufemisticamente tecnocrati. Designati dai lobbisti creditori, il loro ruolo effettivo è di calcolare quanta disoccupazione e depressione siano necessarie per spremere un attivo di bilancio per pagare i creditori di debiti, ora registrati sui libri contabili dello Stato.

Ciò che rende questo calcolo autolesionista è il fatto che la contrazione economica – deflazione per debiti - rende il gravame del debito ancora più non risarcibile.

Né le banche, né le autorità pubbliche (o, se è per questo, nemmeno accademici di chiara fama) hanno preso in considerazione l’effettiva capacità economica di pagare i debiti, ossia di pagare senza avere una strozzatura dell’economia.

Attraverso i loro mezzi di informazione e i loro centri-studi, hanno convinto le popolazioni che il modo per diventare ricchi più rapidamente fosse quello di prendere in prestito denaro per acquistare immobili, azioni, obbligazioni e titoli di Stato, quando questi aumentavano di prezzo – essendo stati gonfiati dal credito bancario - e di revocare la tassazione progressiva della ricchezza imposta nel secolo scorso.

Per definire la questione in modo diretto, il risultato è sfociato in un sistema economico ciarpame. Lo scopo è quello di invalidare i controlli e i contrappesi pubblici, spostando il potere di pianificazione nelle mani dell’alta finanza, con la convinzione che questo si dimostra più efficiente della regolamentazione pubblica.

La pianificazione e l’imposizione delle tasse da parte dei governi vengono accusate di tracciare “la strada verso la schiavitù”, come se i “liberi mercati” controllati da banchieri, ai quali vengono concessi margini di azione sconsiderata e sprezzante, non fossero impostati su interessi particolari tali da risultare oligarchici e non democratici.

Ai governi si ingiunge di pagare debiti di salvataggio assunti non per difendere i propri paesi in uno stato di guerra come nel passato, ma a beneficio degli strati più ricchi della popolazione che trasferiscono le proprie perdite sui contribuenti.

La mancata considerazione delle richieste degli elettori pone i debiti nazionali risultanti su un terreno instabile politicamente e anche legalmente. I debiti imposti per decreto da governi o da agenzie finanziarie straniere a fronte di una decisa opposizione popolare possono essere solo di dimensioni ridotte, come quelli degli Asburgo e di altri despoti in epoche passate. In mancanza di una convalida popolare, questi debiti possono decadere insieme al regime che li ha contratti.

I nuovi governi dovrebbero agire democraticamente per subordinare il settore bancario e quello finanziario a porsi al servizio dell’economia, e non in modo contrario.

Intanto, dovrebbero imporre il pagamento delle imposte con la reintroduzione della tassazione progressiva dei patrimoni e delle rendite, spostando il carico fiscale sui redditieri ricchi di proprietà. La ri-regolamentazione del settore bancario e lo stabilire un’opzione pubblica per il credito e i servizi bancari potrebbero rinnovare il programma democratico e sociale che sembrava ben avviato un secolo fa.

L’Islanda e l’Argentina sono gli esempi più recenti, ma possiamo guardare indietro alla moratoria sui debiti di guerra interalleati e le riparazioni della Germania nel 1931 (*).

Sussiste un principio fondamentale, tanto matematico, quanto politico: i debiti che non possono essere ripagati, non lo saranno.


(fonte Michael Hudson -estratto da - La schiavitù del debito ha distrutto Roma e ci distruggerà se non ci poniamo fine)

mercoledì 4 gennaio 2012

Anche umiliato, mio padre operaio odorava di dignità

Cari lettori di Tra Verità e Menzogna, il mio invito a far circolare più possibile la lettera che segue.

Arriverà anche quel giorno...e quel giorno risplenderà il sole.

Come sempre Tra Verità e Menzogna...restate "Ad occhi aperti!"

Il vostro
Pinocchio & Giò

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dal Blog di Beppe Grillo http://www.beppegrillo.it/2012/01/la_lettera_del/index.html?s=n2012-01-04
- fonte - Luca Mazzucco http://www.libreidee.org


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La lettera del figlio di un operaio


"Ero tornato da poche ore, l’ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera.
Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica.
L’ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo.
L’ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie.
L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università.
L’ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.
L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.
Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro.
Ma mi è mancata l’aria, quando lunedì 26 luglio 2010, su “La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del Prof. Mario Deaglio. Nell’esposizione del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro” doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la 18,00 di martedì 27 luglio 2010)...Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l’aria. Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino. Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis. Odorava di dignità."